Avresti mai immaginato di scrivere un articolo scientifico sui bias negli studi clinici? Proprio sulla RoB2 (risk of bias2), e mi raccomando, non RoB1, perché, oramai dovresti aver capito, dopo il corso di perfezionamento sulle revisioni sistematiche e metanalisi di Unimi, le dovute differenze tra le due versioni. La risposta è no, eppure è successo.
Che cos’è la RoB2? È lo strumento aggiornato e raccomandato dalla Cochrane per valutare il rischio di errore sistematico (risk of bias) negli studi randomizzati controllati. Una delle principali differenze rispetto alla versione originale è il focus di valutazione, che non avviene più a livello di studio ma di ogni esito (outcome measure level), giudicando nello specifico i singoli risultati dello studio (results-based).
Da dove nasce questo articolo? Dal quesito di una mia compagna di banco durante il corso di perfezionamento, la domanda che si pone è: “Quanto questo tool viene utilizzato correttamente negli articoli scientifici?”. L’idea stuzzica la docente del corso, esperta metodologa di revisioni sistematiche che, insieme ad altri docenti, decide di accompagnarci in questa nuova esperienza. Come obiettivo ci poniamo di identificare il numero di revisioni che utilizzano in modo appropriato il tool della Cochrane, ovvero applicano lo strumento a livello degli esiti indagati (di outcome e non dello studio in sé). Ci addentriamo in uno degli argomenti più complessi di tutto il corso di perfezionamento. Si inizia con la suddivisione dei compiti e la creazione di gruppi di lavoro. Primo problema per il discente, quale step di lavoro scegliere? Si parte dalla formulazione del quesito di ricerca secondo metodo PICO ed esplorazione delle banche dati, per proseguire con la selezione degli articoli, l’estrazione ed analisi dei dati ed infine scrittura dell’articolo vero e proprio. Il doodle sulla scelta della parte da affrontare si completa velocemente e così si formano i 5 gruppi, ognuno composto da 4 partecipanti. Non sapendo esattamente dove direzionarmi scelgo il gruppo con meno adesioni, ovvero quello inerente la stesura dell’articolo, chissà, la scrittura mi piace e l’unione fa la forza.
La metodologia didattica è quella del problem based learning, che ci pone da subito in un’ottica collaborativa. All’inizio del percorso entusiasmo e preoccupazione si mescolano creando un’omeostasi perfetta e forse un po’ tutti ci domandiamo se saremo in grado di portare avanti il progetto, conciliandolo con la vita e il lavoro di tutti i giorni. La guida dei docenti è fondamentale nel farci acquisire sicurezza e, passo dopo passo, riproduciamo, seguendo la metodologia appena appresa al corso, le varie tappe di una revisione sistematica. Siamo quasi tutti distanti, proveniamo da regioni italiane anche molto lontane, quindi il lavoro si svolge in completa modalità remota. Gli incontri online si susseguono con cadenze sempre più ravvicinate dove tutti (o almeno gli “only the brave” che nel tempo sono rimasti) ci confrontiamo su quanto è stato fatto e la direzione da intraprendere.
Il valore aggiunto di questo percorso? La condivisione di idee, criticità e il ragionamento di gruppo. Adesso che stiamo giungendo al termine mi rendo conto che sono passati nove mesi da quando abbiamo iniziato questo progetto e insieme abbiamo imparato tanto, ovviamente anche sbagliando. Ognuno ha fatto il suo e in molti abbiamo partecipato. Non è stato un cammino sempre lineare, quando sono tante le teste coinvolte è difficile anche solo organizzare la suddivisione dei compiti e sincronizzarsi. Il limite di lavorare a piccoli gruppi è di non conoscere quello che sta avvenendo negli altri. Le videochiamate collegiali sono quindi state di primaria importanza, per comprendere il disegno complessivo che stavamo tracciando. Il vantaggio è, invece, il non sovraccarico e la ridistribuzione del lavoro da portare avanti. Il punto di forza è stata la perseveranza e la costanza dei docenti nel seguire tutti e nel guidarci verso l’obiettivo che adesso si sta concretizzando.Da soli ci saremmo riusciti? Molto probabilmente no, la forza è stata nel gruppo e nel sapere di poter contare su un sostegno scientifico solido. Che fine farà questo paper? Nascendo come lavoro prettamente metodologico lo sottoporremo al Journal of Clinical Epidemiology. Con un po’ di fortuna sarà, per molti di noi, un primo passo nel mondo delle riviste peer reviewed.
Daniela Berardinelli