Il mondo quotidiano della clinica spesso non si avvale, come potrebbe, delle novità proposte dalle evidenze pubblicate sulle maggiori riviste scientifiche. Questo avviene perché la consultazione di queste risorse non è consuetudine routinaria. La lettura dei paper rimane così attività di piacere di pochi, spesso svolta in solitudine, limitandone così una diffusione tra pari.
Alcuni clinici vorrebbero fare ricerca ma si bloccano, altri tentano di farla, ma peccano per l’utilizzo di metodi alle volte un po’ troppo casalinghi e poco standardizzati. Non conoscendo a menadito le regole del buon funzionamento dell’EBM, i clinici richiedono l’aiuto degli statistici, che spesso si ritrovano un dataset già abbozzato e non pronto a girare nei software di statistica perché incompleto o inesatto, e quindi da ricostruire ex novo.
Archibald Cochrane, tra i medici fondatori della medicina basata sulle prove di efficacia, già nel 1972 nel suo libro “Efficienza ed efficacia, riflessioni sparse sui servizi sanitari”, esprimeva perplessità riguardo la carenza di medici con un’adeguata formazione in campo EBM. “Saranno sufficienti? Tutto sommato ne dubito. I medici interessati alla ricerca sono rari e quelli interessati alla ricerca medica ancora meno”.
La ricerca è un valore inclusivo
La ricerca non è solo una raccolta ed interpretazione di dati che generano nuova conoscenza, ma anche inclusione di più figure professionali, che collaborano insieme per rispondere ad un quesito condiviso. Questa azione comune non solo aiuta tutti a crescere, ma valorizza le singole figure all’interno della comunità sanitaria e scientifica. La condivisione del proprio sapere all’interno di un campo da gioco più vasto può essere difficile, ma incredibilmente appagante e soddisfacente. E allora dove si pianificano gli studi? Dove si trovano questi think tank, unioni di professionisti disciplinari, che calcolano il sample size e identificano l’outcome primario?
Archibald Cochrane proseguiva: “Il principale problema è quello di ottenere la collaborazione di un gruppo di medici specialisti e di medicina generale, di persuaderli ad adottare un nuovo protocollo di ricerca e di trovare giovani e brillanti ricercatori che si appassionino a questo tipo di studio”.
Laboratori di ricerca clinica universitari
Le università in Italia rappresentano il luogo dove più spesso si sviluppano le attività delle unità di supporto metodologico. Queste aggregano diversi professionisti a supporto dei clinici, che intendono fare ricerca, e forniscono una bussola metodologica per aiutare a pianificare uno studio, scrivere il protocollo, ottenere una piattaforma per la raccolta dati ed infine sviluppare il piano di analisi statistica. A volte però queste unità sono poco penetrabili, impegnate negli studi e ricerche che hanno in corso. Alcune università, però, offrono dei momenti di formazione e scambio a chi è interessato a scoprire di più sul mondo della ricerca clinica.
I corsi di perfezionamento
I corsi di perfezionamento in ricerca clinica nascono 15 anni fa. Negli ultimi anni è in crescita il numero di partecipanti che, dopo il conseguimento di una laurea (triennale, magistrale o a ciclo unico), arricchisce la presenza ai nostri corsi. L’obiettivo di questa formazione non è la sola conoscenza teorica, ma anche l’applicazione pratica, che viene promossa attraverso esercitazioni guidate da docenti esperti sulle metodologie dei trial, revisioni sistematiche e linee guida. La modalità di svolgimento dei corsi è mista, ovvero chi può in presenza ma chi desidera online, garantendo così il difficile connubio tra lavoro, aspirazioni e vita privata.
Archibald Cochrane concludeva così il suo testo: “Spero che i clinici cesseranno in futuro di inseguire i limiti dell’impossibile e si collocheranno sul terreno delle ragionevoli probabilità”.
Avvicinare l’EBM alla realtà clinica
9 Marzo 2022